Inaugurazione della mostra “La malattia del mondo”

L’arrivo del coronavirus non ha fermato i movimenti di migranti lungo la rotta balcanica, ma ha messo le associazioni di accoglienza di fronte a sfide inedite. Non appena i nuovi arrivati passano il confine e vengono intercettati dalla polizia, vengono condotti in centri di accoglienza aperti in tutta fretta per trascorrere il periodo di quarantena obbligatorio.

Nei centri il lavoro quotidiano è semplice e, allo stesso tempo, delicato. Le stanze e le tende sono riempite per ordine di arrivo, per tentare di far rispettare il distanziamento, ma caratteri diversi non sono sempre compatibili. Si distribuisce da mangiare, si danno lenzuola, vestiti e saponi, si cerca per quanto si può di risolvere dispute e di capire chi sono le persone che ci si trova davanti.

Quest’ultimo passo non è mai semplice, tanto si è distanti da questi ragazzi che hanno fatto così tanta strada. La frase che più mi ha aiutato a mettere in proporzione quello che si vede l’ho sentita da una delle donne della Caritas che si occupa della consegna dei pasti. “Ti rendi conto che io ho un figlio della stessa età?”, dice, fornendo un punto di riferimento preciso che dà subito una forma più riconoscibile a quello che hai davanti. Noi a quell’età stavamo finendo il liceo.

Capisci che non puoi risolvere in un colpo solo tutti i loro problemi, e che il meglio che puoi fare è dargli un pasto caldo e indicargli la strada più adatta per proseguire. Loro non si preoccupano troppo del virus. A torto o a ragione, hanno percorso troppa strada e speso troppo tempo lontani da casa per poter pensare di tornare indietro. Si spera che il passaggio a Campo Sacro o a Casa Malala sia stato una parentesi serena, nella vita difficile che li aspetta.

UN’ACCOGLIENZA, ANCORA UNA VOLTA, NORMALE

Da fine marzo 2020, nel rispetto delle direttive sul contrasto alla diffusione della pandemia da covid-19, nella Provincia di Trieste sono state allestite da parte della locale Prefettura delle strutture di primissima accoglienza dove ospitare i richiedenti asilo appena arrivati per il previsto periodo di “isolamento fiduciario” prima del loro trasferimento nelle strutture di accoglienza ordinarie, a Trieste (in accoglienza diffusa) o in altre aree del territorio nazionale. La gestione di questa fase dell’accoglienza dei richiedenti asilo è stata affidata alla Fondazione diocesana Caritas di Trieste in collaborazione con ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà) – Ufficio Rifugiati.

Questa forma di prima accoglienza ha una finalità esclusivamente precauzionale, ovvero quella di assicurarsi che nessuna delle persone appena arrivate risulti positiva al virus e possa, nel caso sia inserita in un contesto “ordinario”, finire per diffonderlo. I casi di positività al virus tra i migranti appena arrivati dalla rotta balcanica sono stati pochissimi nel corso del 2020 ma, in ogni caso, il buon funzionamento del sistema di prima accoglienza, suddiviso per fasi, ha fatto sì che non si sia verificata nessuna diffusione del contagio tra le diverse strutture di accoglienza, cosa che purtroppo è avvenuta in molte altre città italiane dove non v’è stata analoga attenzione.

Nelle strutture di “isolamento fiduciario” la permanenza è molto breve (14 giorni) e in ragione della loro natura non sono ovviamente previste attività di socializzazione; tuttavia si è evitato che questa fase dell’accoglienza si trasformasse in una sorta di grigio parcheggio di persone e l’intero sistema è stato organizzato in modo da assicurare il rispetto di standard di accoglienza e tutela adeguati e il più possibile simili a quelli garantiti nelle strutture ordinarie: una particolare cura è stata rivolta alla mediazione linguistico-culturale, all’informazione legale, alla presa in carico delle situazioni più vulnerabili e all’assistenza sanitaria (curato dall’Associazione di medicina umanitaria “DONK”).

Le foto di questa mostra riguardano l’accoglienza organizzata presso l’Ostello Scout di Campo Sacro- Prosecco e presso “Casa Malala” a Fernetti (Monrupino) che, pur non essendo una struttura destinata all’isolamento fiduciario, ha svolto questa funzione per alcuni periodi durante i quali si sono registrati arrivi più intensi di richiedenti asilo.L’esperienza triestina della gestione dell’accoglienza in isolamento fiduciario dei richiedenti asilo (che ha coinvolto oltre duemila persone nel 2020) ha dimostrato ancora una volta come sia possibile, anche in una zona di confine e di arrivi di migranti dalla rotta balcanica, assicurare standard adeguati e rispetto per la dignità delle persone accolte, rifiutando i falsi allarmismi e le logiche di segregazione che in FVG e in tutta Italia hanno dato vita a enormi fortune politiche.

La mostra, realizzata con il sostegno di ICS, è a ingresso libero.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *