La falsa indignazione contro il traffico di esseri umani

È giusto esprimere sdegno per le ignobili condizioni di violenza e vessazione cui sono sottoposti i migranti che sono emerse, da ultimo, anche dall’inchiesta condotta dalla DDA di Trieste, inchiesta che tuttavia non sembra portare nuovi particolari elementi all’analisi di fenomeni ben noti da molti anni.

Ma lo sdegno, da solo, non basta perché non aiuta a comprendere la realtà e quindi ad agire affinché tali violenze siano realmente contrastate. Le organizzazioni che gestiscono il traffico di esseri umani sono, per i migranti, i loro aguzzini e i loro salvatori nello stesso tempo. Ai loro “servizi” si devono rivolgere, in assenza di alternative, coloro che fuggono dai loro paesi a causa di persecuzioni e conflitti. L’assenza, in Europa e in Italia, di canali di ingresso protetti per i rifugiati è il grande tema rimosso dal dibattito pubblico; al suo posto si è affermata una violenta retorica che ruota attorno all’indistinto slogan del “fermare le partenze”. Fermare le partenze significa di fatto contrastare il“diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” (Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, art. 14) ed è quindi opzione che va ripudiata dalla coscienza collettiva perché contraria all’ordinamento giuridico di tutela dei diritti fondamentali su cui si fonda la nostra società.

L’Italia non ha alcun programma di ingresso protetto dei rifugiati che permetta almeno a parte di loro di non doversi affidare alle organizzazioni criminali per poter fuggire da condizioni di vita che sono percepite, a ragione, come ben più gravi del rischio di violenza e di morte durante i viaggi. Non sono canali di ingresso protetto gli attuali, pur lodevoli, “canali umanitari”, sia per l’assoluta esiguità del loro numero, sia perché si tratta di progetti organizzati da enti umanitari privati. Lo Stato italiano è, in questo campo, totalmente inerte, ed anzi persino contrasta l’operato di coloro che, nei soccorsi in mare, alle nostre frontiere e nel territorio, cercano di fare rispettare il diritto d’asilo.

Nessun programma di ingresso protetto è stato in particolare attuato nei confronti dei rifugiati dalla rotta balcanica, pur essendo essi in larga parte afgani e siriani, ovvero persone in fuga da contesti di origine di inaudita violenza che non permettono di fare altre scelte che non la fuga. Nessun programma, per nessuno: né famiglie, né minori, né malati. Essi, come tutti i rifugiati, sono costretti dalle attuali violente scelte politiche ad affidarsi agli stessi trafficanti del cui operato ipocritamente ci indigniamo ma che, nei fatti, sosteniamo.

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