Seri rischi di nuove violazioni del diritto interno e internazionale nelle finalità delle pattuglie miste italo-slovene

L’avvio dell’attività delle cosiddette pattuglie miste italo-slovene, che avviene proprio nello stesso giorno nel quale un bambino afgano è morto annegato nel tentativo di entrare in Croazia, è stato ufficialmente presentato come finalizzato al contrasto delle organizzazioni criminali che organizzano il traffico degli esseri umani. Si tratta tuttavia di una motivazione vacua e inconsistente in quanto il contrasto al traffico internazionale di esseri umani, per essere efficace e credibile, richiede accordi di intelligence e inchieste congiunte delle diverse autorità giudiziarie, cioè attività che nulla hanno a che fare con un pattugliamento fisico dell’area di frontiera vicino al confine. Tale pattugliamento, risibile rispetto agli obiettivi annunciati anche sotto il profilo dello spreco di risorse pubbliche, sembra rispondere a un’altra celata finalità: quella di intercettare nelle immediate vicinanze della frontiera interna italo-slovena, da parte slovena, i rifugiati al fine di impedirne, forse anche con l’uso della forza, l’ingresso in Italia.

Se fosse questa, come appare, l’effettiva finalità di un’attività realizzata con uomini e mezzi italiani, si delineano – in capo alle autorità italiane – precise e serie responsabilità, non solo politiche, ma anche giuridiche. È noto infatti che la situazione dell’effettivo rispetto del diritto di asilo in Slovenia è quanto mai critica: le disfunzioni sulla procedura di asilo sono profonde e vengono compiute riammissioni sistematiche verso la Croazia, impedendo ai migranti di presentare la domanda di asilo e rinviandoli in un Paese, che a sua volta, con un meccanismo a catena e con l’uso di inaudite violenze, li deporta in Bosnia dove vengono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. Si tratta di respingimenti a catena documentati da un enorme numero di autorevoli report internazionali, la cui illegalità è stata già sancita dalla giurisprudenza slovena e recentemente anche da quella austriaca, in relazione alle riammissioni a catena dall’Austria.

Le autorità italiane, per ragioni non solo etiche ma giuridiche, non possono fingere di ignorare il quadro fattuale sopra descritto, pena il loro coinvolgimento in fatti che configurano gravi violazioni delle norme interne e internazionali. L’impiego di personale italiano operante all’estero con funzioni di polizia è vincolato, infatti, al pieno rispetto degli obblighi derivanti dall’ordinamento giuridico italiano, che prevede il tassativo divieto di attuare o collaborare in alcuna forma, anche indiretta, a operazioni di respingimento, diretto o a catena, di cittadini stranieri verso Paesi terzi nei quali i diritti fondamentali delle persone respinte possono essere seriamente violati, come avviene nella cosiddetta rotta balcanica.

ICS esprime dunque forte preoccupazione che, ancora una volta, il nostro Paese al suo confine orientale venga travolto, come è avvenuto con le riammissioni, in gravissime prassi illegittime che ledono l’onore delle istituzioni della Repubblica. ICS chiede pertanto che vengano subito resi noti i protocolli operativi e il mandato entro il quale si intende far operare la polizia di frontiera italiana nelle operazioni congiunte con la polizia slovena e sollecita altresì l’avvio di ispezioni parlamentari al confine orientale al fine di verificare sul campo la situazione effettiva.

ICS, nell’ambito delle sue attività di monitoraggio e di tutela dei diritti fondamentali dei rifugiati, vigilerà su quanto sta accadendo, anche assieme alle organizzazioni internazionali e a quelle della stessa Slovenia, assumendo ogni azione politica e legale che si dovesse rendere eventualmente necessaria.

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